sabato 12 marzo 2022

La Propaganda di guerra è un crimine

 






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La Propaganda di guerra è un crimine.

 

Desidero ringraziare il Colonnello Guido Monno per il tempo che mi ha dedicato, e per i numerosi documenti e consigli che mi ha fornito.

 

Premessa. I motivi del conflitto. Esportare la democrazia. La doppia morale della guerra. “La storia è maestra, ma non ha scolari”. Conclusioni.

 

Premessa

 

Da alcuni giorni è in corso il conflitto tra Russia e Ucraina. Non doveva accadere, e il conflitto deve essere fermato subito.

Ma, detto questo, quello che deve essere parimenti fermato è questa irresponsabile e pericolosa propaganda che confonde e destabilizza le popolazioni, manipolando emozioni e alimentando paura e odio.

Tutto questo è pericoloso, perché se è vero che attraverso la propaganda si ottiene il facile appoggio dell’opinione pubblica, dall’altro le conseguenze a breve, medio e lungo termine possono essere devastanti: devastanti per le popolazioni, che non devono iniziare a odiarsi, devastanti per la pace perché, se si prosegue sulla strada delle bugie e degli inganni, nessuna diplomazia potrà mai fermare alcun conflitto armato.

In questo conflitto Putin viene descritto come un nuovo Hitler, un pazzo sanguinario dalle mire imperialistiche che minaccia l’Europa e il mondo, e contro cui la comunità internazionale chiede di fare fronte comune.

È così?

Non proprio. Come scrive John J. Mearsheimer, tra i maggiori politologi al mondo, professore di scienza politica alla University of Chicago nel suo libro “La grande illusione[1], i principali responsabili di questa crisi, che è sfociata in una inaccettabile guerra, sia noi, gli Stati Uniti e Europa (da ora in poi Occidente).

Siamo noi che abbiamo iniziato una politica estera aggressiva nei confronti della Russia, minacciandone gli interessi strategici e la sicurezza territoriale. Una politica incomprensibile, iniziata a metà degli anni ‘90 contro una nazione che non ci minacciava in alcun modo, condotta attraverso operazioni di Pyops, oggi ribattezzate con il termine più innocuo di tecniche di soft power, ma non ci si lasci ingannare dal termine, “le armi della guerra psicologica... fanno più vittime innocenti di qualsiasi guerra convenzionale”[2]  e possono causare affezioni psichiche in grado di condizionare intere generazioni[3].

 

I motivi del conflitto

 

Crollato il muro di Berlino, scopo comune dell’Occidente era promuovere la democrazia liberale nel mondo, anche nei paesi dell’Europa orientale.

Per ottenere questo risultato è stata portata avanti una la strategia composta tre elementi interconnessi: allargamento della NATO, espansione dell’UE e le rivoluzioni colorate.

Vediamole in sintesi.

Dopo la riunificazione della Germania, come confermano numerosi documenti declassificati,[4]  viene data alla Russia la garanzia che la Nato non si sarebbe allargata ma, sotto l’amministrazione Clinton, si decide per l’espansione. Decisione incomprensibile e pericolosa, come ebbe subito ad evidenziare George Kennan “in un’intervista rilasciata nel 1998, poco dopo l’approvazione da parte del Senato della prima fase del processo di espansione: “Penso che i russi reagiranno gradualmente molto male e che questa mossa inciderà sulle loro politiche. Credo che sia un tragico errore. Non c’era nessuna ragione per farla. Nessuno stava minacciando nessun altro”[5].    

Purtroppo, le sue parole restano inascoltate e, nel 1999, entrano nella NATO Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Nel 2004 ad essere accolti nell’Alleanza atlantica sono Bulgaria, Romania Slovacchia e Slovenia.

Contestualmente anche l’Europa inizia ad annettere vari paesi, tra cui alcuni dell’Europa dell’est: nel 1995 fanno il loro ingresso Austria, Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Polonia, Slovacchia e Slovenia e, nel 2004, Cipro, Malta, Bulgaria e Romania.

La Russia protesta fin da subito lamentando le promesse mancate, ma l’Occidente fa spallucce. La Russia è debole, e la Nato e la UE decidono di proseguire la loro espansione, agevolate anche dalle numerose rivoluzioni colorate[6] “organizzate e finanziate dagli Stati Uniti sul modello del movimento Otpor”,[7] che altro non sono che tecniche di soft power il cui obiettivo è portare al cambiamento politico dei paesi presi di mira appoggiando, addestrando e finanziando individui e organizzazioni di quei paesi e tese a insediare leader filo-occidentali[8].

Nell’aprile del 2008 la NATO rilascia una dichiarazione circa il futuro ingresso nell’Alleanza atlantica di Giorgia e Ucraina: “La NATO apprezza le aspirazioni euroatlantiche dell’Ucraina e della Georgia che le spingono a entrare nella alleanza. Oggi abbiamo deciso che questi paesi diventeranno membri della NATO”[9].

La reazione di Putin è immediata, e afferma che l’ammissione di quei due paesi avrebbe rappresentato una “minaccia diretta” alla Russia[10]. Anche in questo caso l’Occidente fa spallucce, e le operazioni per l’ingresso nella Nato della Georgia vanno avanti. È scontro, la Russia, visto che gli avvertimenti non erano serviti a nulla, invade la Georgia e assume il controllo dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale. Putin vuole che sia chiaro che è pronto a scatenare una guerra pur di impedire che la Russia venga accerchiata delle armi. Se si guarda un po’ alla storia si comprende come accerchiare un avversario, ex nemico, non sia mai una buona idea, numerose sono state le guerre causate dalla c.d. “sindrome da accerchiamento”[11]. Oltre a ciò, come pretendere che la Russia subisca ciò altre grandi potenze mai permetterebbero? “Le grandi potenze sono sempre sensibili alle minacce che si creano in prossimità del loro territorio. In base alla dottrina Monroe, gli Stati Uniti, per esempio, non tollerano che altre grandi potenze ostili schierino forze militari nell’emisfero occidentale, tantomeno ai loro confini. Immaginate quale sarebbe la reazione di Washington se la Cina costruisse una grande alleanza e tentasse di installare dei governi “amici” in Canada e in Messico. Logica a parte, i leader russi hanno detto tante volte ai loro omologhi occidentali che non avrebbero tollerato l’espansione della NATO in Ucraina e in Georgia, e alcun tentativo di mettere quei due paesi contro la Russia – un messaggio che il conflitto russo-georgiano del 2008 avrebbe dovuto rendere ancora più chiaro[12]”.

Purtroppo chiaro non è se, nel 2009, è la Ue ad annunciare l’iniziativa di allargamento a Est, denominata Eastern Partnership.

La Russia protesta nuovamente, vede nell’espansione dell’UE un pretesto per l’allargamento della NATO. I leader dell’UE negano queste accuse, ma vero è che gli accordi proposti all’Ucraina non si limitano a questioni economiche ma anche di sicurezza: “In particolare, chiedeva a tutti i firmatari di “promuovere una convergenza progressiva sulle questioni di politica estera e di sicurezza, con l’obiettivo di coinvolgere sempre più profondamente l’Ucraina nel sistema di sicurezza europeo”. Li invitava anche a sfruttare “pienamente e tempestivamente tutti i canali diplomatici e militari tra le parti, inclusi contatti appropriati in paesi terzi e all’interno dell’ONU, dell’OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) e di altri forum internazionali”. Suona chiaramente come una manovra per fare entrare di straforo l’Ucraina nella NATO, e nessun leader russo assennato l’avrebbe potuta interpretare in altro modo[13]”.

E se, come esplicitato in maniera chiara il 9 febbraio 1990 da Gorbaciov a Baker “un ampliamento della zona Nato non era accettabile”[14], tanto meno lo può essere l’annessione dell’Ucraina, per la Russia vitale sul piano strategico: “Dal punto di vista di Putin, la politica degli Stati Uniti e dei loro alleati europei rappresenta una minaccia alla sopravvivenza della Russia”[15].

Nel 2013 il presidente ucraino Janukovyč rifiuta di firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea e decide di accettare la controfferta dei russi.

Il 22 febbraio 2014, un colpo di stato in Ucraina, dietro cui c’è il governo degli Stati Uniti[16], porta alla fuga di Janukovyč acuendo la crisi tra Mosca e l’Occidente, e Putin, nel timore di perdere le basi navali di Sebastopoli, fondamentali per la Russia non solo a livello militare, ma anche commerciale, decide di intervenire per separare la Crimea dall’Ucraina ed incorporarla nella Russia.

Caduto Viktor Janukovyč, alla presidenza dell’Ucraina sale Petro Poroshenko, leader anti-russo e assertore dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nella UE.

Il governo del presidente Porošenko lancia una offensiva etichettata antiterrorista: “a che cosa puntasse l’iniziativa “antiterroristica” lanciata dal governo del presidente, è difficile dirlo. Soprattutto perché sotto l’etichetta di “terrorista” si assimilava l’intera popolazione russofona che da secoli vive nelle regioni orientali del Paese…[17]”.  È guerra civile. Una guerra sporca, sotterranea, combattuta da eserciti regolari e gruppi di mercenari provenienti da tutto il mondo[18] e che, in barba al diritto internazionale, prende di mira anche la popolazione: se la Russia utilizza l’energia come fonte di ricatto[19], Kiev taglia acqua ed elettricità alla Crimea secessionista[20]. Una guerra che provoca migliaia di morti e oltre un milione di sfollati. Ma di questa catastrofe poco se ne parla in Europa, mentre l’oligarca ucraino Ihor Kolomojs’kyj – che in passato aveva dato il suo appoggio alla Tymošenko[21], tra i finanziatori del famigerato battaglione Azov,[22] formazione paramilitare fedele a Kiev, ed il cui istituto di credito, Privat Bank, si è reso protagonista di truffe costate a risparmiatori e correntisti quasi 6 miliardi di dollari”[23]- costruisce la scalata al potere di Zelens’kyj. Straordinaria Operazione di influenza culturale che, grazie ad una serie televisiva, in tre anni, è riuscita a trasformare un comico in un presidente[24]

In un primo momento si era pensato di puntare su un cantante[25], poi la scelta era ricaduta su una operazione di influenza più sicura, quella delle serie televisive, veri e propri strumenti di geopolitica[26] che, attraverso la seduzione delle immagini sono capaci, giocando con le emozioni, non solo di trasmettere codici, valori, linguaggio, ecc, ma di manipolare l’immaginario del mondo, trasformando insuccessi in vittorie,[27]nutrendo paure, alimentando pregiudizi e desideri e, indicando nemici, estendere il proprio dominio.

Il 21 aprile 2019 Zelens’kyj viene eletto presidente con il 73% dei voti, ribadisce l’intenzione di entrare nella UE e nella NATO e viene immediatamente osannato e omaggiato dai vertici da NATO, UE e USA.

Nel frattempo, il mondo militare è in forte movimento. Si muovono uomini e mezzi, si armano Paesi e addestrano soldati. L’aria è tesa, in molti prevedono a breve un conflitto e l’America si ritira così velocemente dall’Afganistan da scordarsi persino di avvertire gli alleati.

Il 7 dicembre 2021, in un vertice virtuale tra Biden e Putin, il presidente russo propone la bozza di un trattato in cui chiede garanzie scritte circa la promessa da parte degli Stati Uniti di non espandere ulteriormente l’alleanza atlantica politico-militare e di non accettare al suo interno Paesi che facevano parte dell’Unione sovietica (tra cui, appunto, l’Ucraina).

Gli Stati Uniti rifiutano la bozza di Mosca, aumentano finanziamenti e armi ai Paesi dell’ex Unione Sovietica e vendono 250 carri armati alla Polonia, mentre la NATO muove uomini e mezzi sui territori dell’alleanza intorno alla Russia.

Nella notte tra il 23 e 24 febbraio Putin attacca l’Ucraina, è guerra, e non possiamo dirci sorpresi: “Chiunque abbia un minimo di familiarità con la geopolitica avrebbe dovuto prevedere tutto questo. L’Occidente si stava infiltrando in Russia e ne minacciava gli interessi strategici.”[28]

Oggi la propaganda indica in Putin il problema, ma la verità è che “nessun leader russo avrebbe permesso all’alleanza militare di un ex nemico di entrare in Ucraina. Nessun leader russo sarebbe restato a guardare mentre l’Occidente cerca di installare a Kiev un governo favorevole a quell’alleanza[29].

 

Esportare la democrazia

 

Perché ci siamo comportati in questo modo? Per esportare la democrazia? Anche a volerlo credere, come non considerare che questo modo di imporre la democrazia agli altri Paesi, con bombe o operazioni psicologiche, non ha praticamente mai funzionato?[30] Ci abbiamo provato anche in Medio Oriente[31], quello che abbiamo lasciato è distruzione, morte e guerre civili. Abbiamo destabilizzato tutta l’area, portato alla rinascita di nazionalismi e terrorismo e, in barba al diritto di asilo, diamo ogni anno miliardi di euro a vari Paesi perché tengano lontano dalle nostre frontiere, e in condizioni disumane, gente disperata.

E questo perché la democrazia non si può esportare con guerre, e neanche con colpi di stato, rivoluzioni colorate o primavere arabe. La democrazia è un processo che deve nascere dall’interno dei popoli, spontaneamente e senza fretta, perché la consapevolezza ha bisogno di tempo. Come diceva l’argentino Juan Bautista Alberdi: “I popoli, proprio come gli individui, non hanno ali”[32], e se vogliono fare strada, devono evolvere passo a passo. Un processo lento, dunque, che non può essere né imposto, né accelerato con bombe o operazioni di psyops: “Questo significa che chi vuol farli volare si assume la responsabilità di vederli sfracellati come immensi Icari ingenui e furiosi”[33]

Oggi, dopo aver destabilizzato il Medio Oriente, con la pretesa di voler esportare a tutti i costi e rapidamente la democrazia liberale nei paesi dell’ex Unione sovietica, abbiamo destabilizzato anche quest’area del mondo, e lo abbiamo fatto senza che ve ne fosse alcun bisogno: “La Russia non stava minacciando nessuno, tanto meno l’Ucraina. È appena il caso di ricordare che la Russia è stata la prima nazione a riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina, chiedeva solo che restasse una nazione neutrale”[34]. Perché, dunque, portare avanti questa politica estera così aggressiva e irresponsabile? “La Russia non ha mai fatto nulla del genere. Mosca non ha mai interferito nelle relazioni fra gli Usa e il Canada o il Messico. Né è mai intervenuta ufficialmente nelle relazioni fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea o con il Giappone e Israele, alleati strettissimi di Washington. Mosca non si è nemmeno mai permessa un commento”[35].

 

La doppia morale della guerra

 

Sono due le domande più ricorrenti: perché la guerra, e cosa l’ha fatta deflagrare adesso?

Forse, come ci dice il Generale Fabio Mini, si tratta di una guerra provocata e voluta dagli Stati Uniti perché: “Cina e Russia hanno armamenti per affrontare un conflitto sui propri territori continentali in Asia ed Europa mentre gli Stati Uniti hanno una connotazione di forte proiezione all’estero, sul mare, oltremare e nello spazio. Mentre Russia e Cina hanno bisogno di tempo per prepararsi a un conflitto diretto con qualche chance di sopravvivenza, gli Stati Uniti devono far presto per impedire che raggiungano la parità. E non vedono metodi alternativi alla guerra”.[36]

O forse, come scrive l’analista internazionale Dario Fabbri: “Dietro la crisi ucraina c’è un preciso progetto statunitense” - denominato “Fomenta e Domina” - e che prevede che “per impedire l’emergere di una nazione in grado di dominare la propria regione di appartenenza e potenzialmente di insidiare il primato della superpotenza degli USA la tattica più efficace, e meno dispendiosa, è acuire le tensioni tra i principali attori regionali”.[37] 

O, forse, per qualche altro motivo, questo lo sapremo con il tempo.

Due sono però le cose certe.

1.        se veramente avessimo voluto evitare la guerra non ci saremmo comportati in modo così irresponsabile.

2.         La diplomazia non ha funzionato.

 

La diplomazia non è riuscita ad evitare il conflitto perché, purtroppo, in questi ultimi decenni abbiamo perso di credibilità. Abbiamo mentito troppe volte e, e troppe volte, grazie a quelle bugie, abbiamo, violando apertamente il diritto internazionale, attaccato Paesi che non ci avevano fatto nulla.

Con la caduta del muro di Berlino, il crollo dell’Impero sovietico e la fine della guerra fredda, si era aperta una straordinaria possibilità: il mondo avrebbe potuto finalmente destinare parte delle risorse, fino ad allora riservate alla corsa agli armamenti, a risolvere problemi come l’inquinamento, la giustizia sociale, la povertà interna agli stati ed internazionale. Le Nazioni Unite, il cui antagonismo tra le grandi potenze aveva bloccato le attività, poteva finalmente operare per la giustizia e la pace, e diventare veramente una costituzione dell’intera umanità.

Ma ciò, purtroppo, non è avvenuto, anzi, dopo il crollo del muro di Berlino, 1989, si è registrata una preoccupante escalation dei conflitti armati.

Nel 1991, le potenze occidentali organizzano, contro l’Iraq che aveva illegalmente invaso il Kuwait, una delle più imponenti spedizioni militari della storia umana. “Nel corso dei 42 giorni di bombardamenti è stata utilizzata una quantità di esplosivo superiore a quella usata dagli Alleati durante l’intera Seconda guerra mondiale… ed ha provocato non meno di 150.000 vittime, non solo irachene ma anche palestinesi, giordane, sudanesi ed egiziane”. [38]

È l’inizio di una escalation di guerre, brutalità, illegalità e morte senza precedenti, in cui si assiste ad uso sistematico della tortura e di armi illegali di distruzione di massa, che colpiscono le popolazioni civili in maniera indiscriminata; ad un costante ricorso alle già usate, ad abusate, tecniche di guerra psicologica per provocare, o per giustificare, le aggressioni[39], alla voluta la distruzione delle infrastrutture del paese nemico per prolungarne, anche dopo il conflitto, agonia e morte[40] per, poi, frodare sugli aiuti internazionali[41], guadagnare sulla ricostruzione ed assicurare lo sfruttamento delle risorse da parte delle proprie multinazionali[42], le cui strutture vengono difese da mercenari o, ancora, garantirsi il controllo della zona di interesse attraverso una riedizione moderna dei protettorati[43]

Guerre asimmetriche, in cui abbiamo scaricato tutta la nostra potenza di fuoco contro paesi del Terzo Mondo che non ci minacciavano in alcun modo ed in cui “il diritto internazionale vigente e il principio della pace, che ne è la norma fondamentale, non sono semplicemente violati. Essi sono apertamente negati in nome di una nuova legittimità politica che pretende di imporsi come giuridica:[44]

 

«se il potere viene usato per fare giustizia, il diritto seguirà»[45]

 

Guerre che hanno causato milioni di morti, e che sono state possibili grazie all’inerzia, impotenza e sorprendenti legittimazioni ex post delle istituzioni internazionali[46]: “In realtà il Consiglio di sicurezza ha abdicato alla sua funzione primaria – il controllo e la limitazione dell’uso della forza internazionale – e si è mostrato pronto non solo ad autorizzare l’uso della forza al di fuori delle previsioni della Carta, ma anche a legittimare ex post le condotte belliche delle grandi potenze, compreso l’impiego di armi di distruzione di massa quasi-nucleari, come i fuel-air explosives[47] e le micidiali bombe «taglia-margherite» (daisy-cutter[48])…”[49].

Armi micidiali di cui abbiamo fatto largo uso[50] e, spesso, più per sperimentarle che per reale necessità[51], come già avvenuto per le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaky[52].

Un’inerzia e impotenza delle istituzioni internazionali che ha portato gli Stati Uniti, dopo aver riesumato la dottrina cinquecentesca della guerra “umanitaria”[53], a riproporre anche la guerra preventiva con cui si puniscono delle condotte prima ancora che queste vengano adottate, e senza la certezza che verranno messe in pratica in futuro[54].

Guerre connotate da una disumanità che non si è palesata solo durante il conflitto, ma anche dopo con una ferocia che non si è fermata neanche davanti alla sofferenza dei bambini, causando la morte di migliaia di loro. Basti anche qui citare quanto avvenuto in Iraq, in cui non solo i soldi per la ricostruzione, circa 23 miliardi, sono, nella quasi totalità spariti ma, i pochi utilizzati, non sono stati spesi non per ricostruire gli ospedali e dotarli delle attrezzature base, sono stati usati per attuare il programma di conversione monetaria in Iraq, ovvero per poter rimpiazzare i dinari con la faccia di Saddam. E così, mentre si spendeva tempo e denaro per cambiare la moneta, negli ospedali distrutti mancavano farmaci e attrezzature assolutamente vitali, essenziali ed economici, come la vitamina K, l’adrenalina, le agocanule, le maschere per l’ossigeno, i ventilatori, ecc. con la conseguenza che, finita la guerra, i neonati, distrutti gli impianti fognari dalle bombe, morivano per diarrea e disidratazione dopo essere stati massacrati per giorni, senza successo, nel tentativo di inserire nelle loro vene un’agocanula troppo grande. Il Dott. Richiard Garfiel consulente per l’Iraq dell’Organizzazione mondiale della sanità ha affermato: “Non abbiamo rifornito le strutture ospedaliere di attrezzature basiche perché abbiamo preferito dedicarci a cose più simboliche e visibili, di impatto[55]”. 

Ma ancora non basta, infatti, “Karol Sikora, responsabile del programma oncologico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha ulteriormente osservato sul «British Medical Journal»: «Le attrezzature indispensabili per la radioterapia, i farmaci chemioterapici e gli analgesici sono costantemente bloccati dai consiglieri americani e britannici [del Comitato per le sanzioni dell’ONU ]. Sembra esserci l’idea piuttosto ridicola che questi agenti possano essere convertiti in armi chimiche o di altra natura». Per esempio, oltre mille prodotti salvavita sono sottoposti a “trattenuta” malgrado gli appelli del segretario generale dell’ONU Kofi Annan perché siano consegnati «immediatamente». Ha commentato il professor Sikora: La cosa più triste che ho visto in Iraq erano i bambini che morivano perché non c’erano farmaci chemioterapici né analgesici. Sembrava pazzesco che non potessero avere della morfina, che per chiunque soffra di dolori dovuti al cancro è il farmaco migliore. Quando ero lì, avevano una piccola boccetta di pillole di aspirina per accontentare a turno duecento pazienti in preda ai dolori”[56].

Guerre a cui abbiano partecipato, condotte in aperta violazione del diritto internazionale, che hanno causato milioni di morti, e per cui non siamo mai stati puniti perché oggi è la forza, non la legalità, la principale fonte di legittimazione del diritto internazionale, un diritto che si limita a prendere atto di quanto deciso, e fatto, dai potenti:

 “Sono le grandi potenze che «fanno» il diritto internazionale e la scienza del diritto internazionale ha il compito di formalizzare come nuove regole le decisioni via via assunte dalle grandi potenze[57]”.

 

Tutto è pericoloso, non è diritto, non è giustizia e, soprattutto, è illusorio possa essere pace.

 

“La storia è maestra, ma non ha scolari”

 

Questa frase di Antonio Gramsci è quanto mai attuale. Infatti, una situazione analoga a quella odierna l’abbiamo già vissuta. Basti pensare alla globalizzazione del 1800: “Il balzo in avanti compiuto dalla globalizzazione del pianeta negli anni che precedono il 1914 è paragonabile soltanto ai nuovi scenari mondiali che si sono aperti con il termine della Guerra fredda”[58].

Oggi come ieri l’Europa è già stata vittima della sua vocazione messianica di voler imporre al mondo quello che riteneva giusto, nel suo voler “incivilire” i popoli extraeuropei, “che altro non significava che popoli diversi dovevano cambiare e assomigliare all’immagine che gli europei avevano di sé stessi”[59].

Gli strumenti per riuscirci gli stessi di oggi, guerre e l’imposizione di riforme e cambiamento di regime politico.[60] La “missione civilizzatrice”, poi, era spesso affidata, ieri come oggi, a compagnie private[61] e si traduceva in “asservimento brutale, violenza estrema e indiscriminata e disprezzo di qualsiasi diritto delle popolazioni autoctone[62]”.

 

Tra il 1815 e il 1870 lo slogan «commercio, non governo» costituiva il nucleo della politica d’oltremare britannica[63]”: In India, nel solo ultimo quarto del XIX secolo sarebbero morte tra i 12,2 e i 29,3 milioni di persone: malgrado le carestie fossero ricorrenti, non si creavano adeguate scorte perché la produzione agricola doveva nutrire la Gran Bretagna. Sappiamo che le razioni alimentari dei campi nazisti erano intenzionalmente insufficienti perché, coerentemente con le premesse socialdarwiniane, dovevano contribuire all’eliminazione dei più deboli. Eppure in India l’amministrazione coloniale inglese arrivò a fornire, per lavori manuali pesanti, razioni inferiori a quelle del lager di Buchenwald nel 1944-45, il periodo in cui la Germania nazista soffrì la massima penuria[64]

 

La conquista dei territori si presentava non solo brutale, ma era spesso oggetto di attriti e tensioni tra le varie potenze per l’occupazione dei territori dalle importanti risorse che il diritto internazionale non era riuscito a limitare: “Le colonie diventarono le sorgenti principali della ricchezza nazionale e la maggiore preoccupazione della politica dei governi[65]”.

Per far fronte alla crisi, esattamente come si sta cercando di fare oggi, i paesi europei tornarono a imporre dazi protettivi, ma il fatto che buona parte delle risorse venissero destinare alle armi, piuttosto che a migliorare le condizioni di vita della popolazione, non fece che alimentare la paura e la rabbia nella popolazione già smarrita dalla grande trasformazione in atto nella società, mentre il diritto internazionale “pronto a condannare aspramente i massacri perpetrati dai c.d. popoli barbari” ma non “a fare altrettanto quando i massacri erano perpetrati dai c.d. popoli civili[66], giustificando[67] occupazione e sterminio e non limitando l’arroganza e l’avidità delle grandi potenze, ci condusse alla Prima guerra mondiale.

Una guerra in cui l’Europa scivolò senza che, come evidenziò il primo ministro inglese Lloyd George nel suo discorso del 23 dicembre 1920, nessun governo l’avesse voluta effettivamente: “tutti, in certa guisa, vi sono sdrucciolati, barcollati, inciampati dentro[68]”.

Era bastato un attimo perché la paura dell’accerchiamento, la corsa agli armamenti, le alleanze segrete e le provocazioni tra le nazioni sfuggissero di mano per imboccare una via senza ritorno: “Un grande storico inglese ha scritto che la guerra scoppiò per la rigidità degli orari ferroviari, vincolata a sua volta alla rigidità dei piani militari”[69].

Una guerra che, dichiarata il 28 luglio 1914, non sorprese Vilfredo Pareto, che da molti anni criticava la politica aggressiva degli Stati: “la guerra è stata scatenata da Stati che avevano lo stesso scopo: consolidare l’egemonia, favorire l’espansione, impedire agli avversari di realizzare programmi d’ingrandimento territoriale e coloniale[70]”.

La Prima guerra mondiale causò oltre sedici milioni di morti, ma non fermò la “missione civilizzatrice” dell’Occidente. Alle popolazioni “barbare” si sostituì il termine, più politically correct, di nazioni “arretrate”, e si continuò a giustificare il “sacro” mandato di civilizzazione[71]. Ancora una volta, il non frenare l’arroganza, l’avidità e il desiderio di potenza dell’Occidente ci traghettò, in pochi anni, verso la Seconda guerra mondiale.

Dopo 80 anni pare che nulla sia mutato. L’Europa continua a commettere gli stessi errori. Oggi come ieri, per giustificare guerre e depredare risorse, siamo tornati ad ab-usare del diritto, o inventando nuovi istituti, come l’instant custom («consuetudine giuridica istantanea») o, ancora, riesumando vecchie dottrine elaborate tra il 1400-1600 per giustificare l’occupazione coloniale del Nuovo Mondo, come: “l’uso legittimo della forza” in Afghanistan, la “legittima difesa preventiva” in Iraq o “l’intervento umanitario” in Kosovo e Libia[72].

 

Conclusioni

Oggi la situazione è estremamente pericolosa, e trova non poche analogie con il passato.

Oggi come ieri la rapidissima trasformazione ha trovato le classi dirigenti impreparate ad assicurare la stabilità interna, e a risolvere le immense diseguaglianze che il modello capitalistico del libero mercato sta causando alla popolazione. Un liberismo selvaggio ha trasformato «ogni manifestazione vitale... in una sorta di parodia dell’incubo contabile»,[73]  con i lavoratori che, come nell’Ottocento ridotti a merci in concorrenza tra loro, sono costretti ad accettare contratti di lavoro disumanizzanti[74]

Oggi come ieri il timore dell’accerchiamento e il desiderio di conquista e di potere portano i vari paesi ad investire più nella corsa agli armamenti che non a migliorare le condizioni di vita della popolazione.

Oggi come ieri le nazioni decidono di risolvere in proprio, e contro le altre, i problemi, mentre potenze in declino e potenze in ascesa si sfidano a chi ha il “bottone” più grosso[75], o mettono in atto pericolose e gratuite provocazioni: “come la tattica spicciola… condotta spostando portaerei e navi da guerra nelle acque contestate dei mari cinesi” contro chi ha mitizzato l’arma assoluta e si sta concentrando per realizzarla”[76]

Oggi come ieri le varie potenze, cui torna ad affacciarsi un pericoloso nazionalismo nostalgico ed imperiale[77], si contendono le risorse dei paesi del terzo Mondo[78] avvalendosi di compagnie private[79] che predispongono contratti profondamente ingiusti, tesi solo a fornire un insindacabile fondamento giuridico-morale ai titoli vantati, e si avvalgono di mercenari (oggi chiamati sicurezza privata, è più politically correct) per garantire l’”efficienza” del lavoro: “Milioni di ettari d’Africa ingoiati in un sol boccone, 2,41 in cinque anni, in Etiopia, Ghana, Mali, Sudan e Madagascar con la semplice firma in fondo a un contratto, ceduti per venti, trenta, novanta anni, per sempre, come colonie agricole; e gli uomini che vi sopravvivono sono venduti con loro, senza aver diritto di dire no, come ai tempi della servitù della gleba. E del colonialismo[80]”. 

Oggi come ieri un individualismo sfrenato ed aggressivo si è impossessato di uomini e Paesi, le decisioni vengono prese in ambiti sempre più limitati e, a causa della velocità delle comunicazioni, sempre più rapidamente a scapito della riflessione. Le grandi potenze si incontrano senza voler veramente porre in essere alcun cambiamento, senza affrontare i problemi che causano maggiore tensione, al più stipulando trattati senza che vengano predisposte le strutture per poterli attuare.

Oggi come ieri il diritto internazionale non serve a limitare la violenza e l’avidità delle grandi potenze, ma ad alimentarne sempre di più l’arroganza ed il senso di impunità, con la conseguenza che le guerre per il profitto sono sempre più atroci e disumane.

Oggi come ieri la popolazione arrabbiata e spaventata reagisce in vari modi. Chi si suicida, chi si “ritira dal mondo” opponendo un netto rifiuto alla disumanizzante globalizzazione[81], chi si rifugia in atteggiamenti nazional-patriottici, chi sceglie la via della violenza e del terrore: “nessuno sapeva quanti terroristi erano attivi né quanto efficaci o diffuse fossero le loro reti: l’unica certezza era che sarebbero tornati a colpire a loro discrezione, e che la polizia non poteva fare molto per fermarli[82]”.

Oggi come ieri c’è la sensazione di vivere in un’epoca gravida di pericoli, si parla di tramonto imminente dell’Occidente, e non solo a causa della degenerazione interna. Vi è chi, oggi come ieri, lo vede nel calo demografico, chi nella degenerazione della razza bianca[83], chi in una imminente guerra. 

Per far fronte al “degenerazione” causata dalla globalizzazione, e salvare la civiltà dalle insidie delle sue perversioni, vi è chi ripropone l’immagine dell’uomo marziale, chi auspica il ripristino della leva militare obbligatoria, chi organizza gite delle scuole medie a caserme, così da poter mostrare “la feroce bellezza” di mezzi militari ed armi a bambini ancora fortemente suggestionabili e manipolabili, salvo poi proclamarsi un fautore della pace.

Le analogie con quanto successo nell’Ottocento sono evidenti, e il rischio di veder nuovamente accadere su scala planetaria ciò che si è conosciuto su scala europea all’inizio del XX secolo, dopo il fallimento della prima globalizzazione,[84] è reale. Fermiamoci!

Da più parti si auspica un ritorno alla ragione, alla politica del confronto e del dialogo affidata a persone con competenza ed esperienza, non a prodotti del marketing, e all’elaborazione di un diritto internazionale che, sottratto all’arroganza dei potenti, sappia essere veramente giusto ed equo.

È possibile, ed è necessario, se si vuole la pace: “una grande speranza che si realizzerà solo se si terrà conto della storia…Un passato che non deve paralizzare il presente, ma aiutarlo ad essere diverso[85]”.

Per poter fare questo però, per poter tornare alla ragione, la prima cosa da fermare è questa irresponsabile propaganda che porta ad agire, e reagire, in base a un emozioni sapientemente manipolate, provocando reazioni che mai avremmo immaginato di dover rivedere, e che sono contrarie all’umanità, alla ragione ed al diritto. Si pensi alla decisione di cancellare un corso universitario gratuito solo perché vi si insegna Dostoevskij, o a quella di impedire ad atleti russi di partecipare alle paraolimpiadi o, ancora, di estromettere dalla fiera del libro dei ragazzi gli autori russi. Se si usasse la ragione si dovrebbe fare l’esatto opposto. Ma questi sono i disastri che è in grado di fare una propaganda irresponsabile che, è bene sottolinearlo con grande chiarezza, non solo è devastante, ma è anche proibita. Infatti, varie risoluzioni dell’ONU adottate dalla Seconda guerra mondiale in poi (tra le tante citiamo la 110, la 381 e la 819) proibiscono la propaganda perché, si legge, “rischia di provocare od incoraggiare ogni minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione”.

La propaganda di guerra è un crimine, ed è il peggior crimine che si possa compiere contro la pace: ci si riprende molto più velocemente dalle conseguenze di una guerra, che non dall’odio che è in grado di scatenare la propaganda.  Fermiamoci!

 

Bibliografia

 

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In copertina, il frontespizio del Memorandum di conversazione tra Mikhail Gorbachev e James Baker a Mosca, 9 febbraio 1990, scaricabile al seguente link: https://nsarchive.gwu.edu/document/16116-document-05-memorandum-conversation-between

Fonte: Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, FOIA 199504567.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] John J. Mearsheimer, La grande illusione, Luiss Press, 2019.

[2] Fabio Mini, Perché siamo così ipocriti sulla guerra. Un generale della NATO racconta, Chiarelettere, edizione digitale, 2012.

[3] Basti qui accennare alla guerra psicologica combattuta dagli Stati Uniti per “contrastare il comunismo” in Medioriente, zona strategicamente fondamentale per le sue risorse di petrolio ed idrocarburi. Iniziata la guerra fredda, gli americani decisero che l’arma migliore per frenare il possibile contagio comunista dell’area, la cui ideologia era prevalentemente atea, fosse fomentare l’estremismo islamico. Fu Eisenhower ad avere chiaro il progetto, che evidenziò in una conferenza tenuta il 7 settembre 1957: “Il presidente sosteneva di voler promuovere l'idea di una jihad islamica che si opponesse al comunismo senza Dio. “Dovremo fare tutto il possibile per porre l'accento sull'aspetto di guerra santa” disse nel settembre del 1957 a una riunione alla Casa Bianca a cui partecipavano Frank Wisner, Forest Dulles, il sottosegretario di Stato per il Medio Oriente William Rountree e i membri dello stato maggiore”. Memorandum di Goodpaster sulla conferenza con il presidente del 7 settembre 1957, DDEL (Dwight D. Eisennhower Presidential Library, Abilene KS). Cfr. Tim Weiner, CIA, Edizioni BUR, Marzo 2010, Milano, pg. 134. Ma non solo. “Foster Dulles propose di creare una task force segreta sotto i cui auspici la C.I.A. avrebbe fornito armi, denaro e intelligence americani a re Saud d'Arabia, a re Hussein di Giordania, al presidente del Libano Camille Chamoun e al presidente dell'Iraq Nuri Said”. Ibidem, pg. 133. Dunque, per impedire il contagio comunista in Medioriente gli Stati Uniti decisero di operare in due modi:

-  promuovere l’estremismo islamico e porre l’accento sulla guerra santa;

- corrompere e finanziare i vertici delle varie nazioni dell’area perché operassero secondo i desiderata americani: “L’agenzia considerava ogni leader politico musulmano che non giurasse fedeltà agli Stati Uniti “un bersaglio legalmente autorizzato della politica della CIA” come ha scritto Archei Roosevelt, capo della stazione turca e cugino di Kim Roosevelt, lo zar della C.I.A. Medioriente. Archie Roosevelt, For Lust of Knowing Memoirs of an Intelligence Officer, Little, Brown, Boston 1988, p. 444-448. Per avere un’idea di come, grazie alle armi della guerra psicologica, stata trasformata l’area consiglio di vedere il video di Nasser del 1953 al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=TX4RK8bj2W0 .

[4] Svetlana Savranskaja e Tom Blanton del National Security Archive, pubblicato in, Briefing Book # 613, 12 dicembre 2017. NATO Expansion: What Gorbachev Heard. Declassified documents show security assurances against NATO expansion to Soviet leaders from Baker, Bush, Genscher, Kohl, Gates, Mitterrand, Thatcher, Hurd, Major, and Woerner. Slavic Studies Panel Addresses “Who Promised What to Whom on NATO Expansion?”I documenti declassificati mostrano garanzie di sicurezza contro l'espansione della NATO ai leader sovietici di Baker, Bush, Genscher, Kohl, Gates, Mitterrand, Thatcher, Hurd, Major e Woerner, in https://nsarchive.gwu.edu/briefing-book/russia-programs/2017-12-12/nato-expansion-what-gorbachev-heard-western-leaders-early.

[5] John J. Mearsheimer, 2019. Citato in Thomas L. Friedman, “Foreign Affairs: Now a Word from X”, New York Times, 2 maggio 1998.

[6] La rivoluzione delle rose in Georgia (2003), La rivoluzione arancione in Ucraina (2004), La rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan (2005), ecc. Dal 2012 al 2014 gli Stati Uniti fanno di tutto per incoraggiare una rivoluzione colorata anche in Russia. Cfr. Mearsheimer, 2019.

[7] Cfr. tra i tanti: Fabio Mini, Mediterraneo in guerra, Einaudi, 2012; Aldo Giannuli, Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo, Ponte alle grazie, 2018; Giuseppe Gagliano, Guerra psicologica, Fuoco edizioni, 2013.

[8] John J. Mearsheimer, 2019. Nel dicembre 2013 Victoria Nuland, vicesegretario di Stato per l’Europa, ha stimato che a partire dal 1991 gli Stati Uniti avevano investito più di cinque miliardi di dollari per aiutare l’Ucraina a realizzare “il futuro che si merita”. Nuland, “Remarks at the U.S.-Ukraine Foundation Conference”, Washington, DC, 13 dicembre 2013. In prima linea ci sono il National Endowment for Democracy (NED), una fondazione privata senza fini di lucro finanziata in larga misura dal governo degli Stati Uniti e Albert Einstein Institution di Gene Sharp.

[9] Ibidem. “Bucharest Summit Declaration Issued by the Heads of State and Government Participating in the Meeting of the North Atlantic Council in Bucharest on 3 April 2008”, http://www.summitbucharest.ro/en/doc_201-html .

[10] Ibidem. “NATO Denies Georgia and Ukraine”, BBC News , 3 aprile 2008; Adrian Blomfield e James Kirkup, “Stay Away, Valdimir Putin Tells NATO”, Telegraph, 5 aprile 2008; International Crisis Group, “Ukraine: Running Out of Time”, Europe Report, n. 231, 14 maggio 2014, https://www.crisisgroup.org/europe-central-asia/eastern-europe/ukraine/ukraine-running-out-time .

[11] Consiglio sull’argomento lo splendido saggio di Luigi Zoja, Paranoia. La follia che fa la storia, Bollati Boringhieri, 2011.

[13] Ibidem. Per informazioni di base e una copia dell’Association Agreement, che il presidente dell’Ucraina ha firmato in alcune parti il 21 marzo 2014 e il 27 giugno 2014, vedi “A Look at the EU-Ukraine Association Agreement”,  European Union External Action  , 27 aprile 2015,   http://www.euam-ukraine.eu/eu-and-euam/   .

[14] National security Archive, Record of Conversation between Mikhail Gorbachev and James Baker, February 9, 1990, in https://nsarchive.gwu.edu/document/16116-document-05-memorandum-conversation-between; Memorandum of conversation between Mikhail Gorbachev and James Baker in Moscowhttps://nsarchive.gwu.edu/document/16117-document-06-record-conversation-between

[15] John J. Mearsheimer, 2019.

[16] Ibidem.

[17] Sandro Teti e Maurizio Carta, a cura di, Attacco all’Ucraina, Sandro Teti Editore, 2015.

[18] Pietro Orizio, Ucraina, la guerra mercenaria, in Limes, n. 4 del 2018, Lo Stato del Mondo.

[19]   John J. Mearsheimer, 2019: “ha alzato il prezzo del gas che la Russia vende all’Ucraina, pretendendo il pagamento immediato degli arretrati, e a un certo punto ha addirittura sospeso la fornitura di gas all’Ucraina”.

[20] Dario Quintavalle, Cinque anni dopo Maidan, l’Ucraina sta meglio. L’Europa sta peggio, in Limes, https://www.limesonline.com/ucraina-russia-europa-crimea-donbas-maidan-ue-bruxelles-ungheria-romania-moldova/111556

[21] La c.d. "Giovanna d'Arco della Rivoluzione Arancione".

[22] Maurizio Vezzosi, Oligarchi, privatizzazioni e guerra nell’Ucraina che attende Trump, in Limes, https://www.limesonline.com/oligarchi-privatizzazioni-e-guerra-nellucraina-che-attende-trump/95276 :”La saldatura – quando non la sovrapposizione – tra gruppi neonazisti e organizzazioni criminali fornisce ai primi un potenziale non irrilevante tanto a livello militare quanto a livello politico. Lo scorso anno, ad esempio, Dmytro Yarosh, fondatore della formazione neonazista Pravy Sektor, è stato nominato consigliere del ministero della Difesa ucraino. A ottobre i vertici del battaglione neonazista Azov hanno fondato il partito Corpi nazionali, agli ordini del comandante del battaglione Andriy Biletsky”.

[23] Fulvio Scaglione, Qualcosa di nuovo sul fronte ucraino, in Limes n. 5/2020, La Russia non è la Cina.

[24] A ottobre del 2015 debutta in Ucraina una serie televisiva di satira politica dal titolo “Il servo del popolo”. Il servo del popolo è la storia di un tranquillo insegnante di storia di Kiev di 31 anni, divorziato e arrabbiato col governo e con le istituzioni ucraine. Un sentimento che esplode in tutta la sua violenza durante una lezione in classe quando si lancia in un monologo appassionato, volgare e violento, contro le ingiustizie della vita nel Paese. Il video, ripreso dai suoi studenti col cellulare, finisce su YouTube. In breve, quell’insegnate diventa presidente dell’Ucraina, un capo di Stato onesto e contro il sistema. Ci sarebbe molto altro da dire sulla serie venduta da Netflix, entrare nel dettaglio delle puntate permette di avere contezza di tutte le principali tecniche di manipolazione, ma quello che qui mi interessa è come il protagonista della serie, ossia l’attore comico che interpreta l’insegnante, alla fine della seconda stagione, a marzo 2018, fondi realmente un partito politico “Servo del popolo”, proprio come il titolo della fiction, si candidi realmente alla presidenza dell’Ucraina e nel 2019, realmente, vinca le elezioni, divenendo realmente Presidente dell’Ucraina, peraltro, con il 73% dei voti. Una percentuale di preferenze mai raggiunta da nessun presidente del paese. In alcune regioni del Paese ha ottenuto 88% dei voti.

[25] Fulvio Scaglione, Lo stallo Ucraino, in Limes, 4/2019, Antieuropa. L’impero europeo dell’America: “Non di meno fu testato anche Svjatoslav Vacar0uk, front man del gruppo rock Okean Elzyj, da quasi venticinque anni sulla breccia, una specie di Bono d’Ucraina”.

[26] Cfr. Dominique Moïsi, La geopolitica delle serie tv. Il trionfo della paura. Armando editore, 2017.

[27] Ibidem. “Le sue discutibili avventure militari in Afghanistan e in Iraq diventano il soggetto di serie potenti come Homeland, che affascinano il pubblico mondiale”.

[28] John J. Mearsheimer, 2019

[29] Ibidem

[30] Ibidem. “…gli Stati Uniti hanno una ricca tradizione di insuccessi nel tentativo di imporre la democrazia ad altri paesi. Due professori della New York University, Bruce Bueno de Mesquita e George Downs, riferiscono che tra la Seconda guerra mondiale e il 2004, “gli Stati Uniti sono intervenuti più di 35 volte in paesi in via di sviluppo di tutto il mondo […]. In un solo caso – la Colombia dopo la decisione, adottata dall’America nel 1989, di scatenare una guerra contro le droghe – si è instaurata entro dieci anni una democrazia matura e stabile. È un tasso di successo inferiore al 3%”.    Pickering e Peceny hanno identificato un solo caso – Panama dopo l’estromissione di Manuel Noriega – in cui l’intervento americano abbia portato chiaramente all’affermazione di una democrazia consolidata.    William Easterly e due suoi colleghi della New York University hanno cercato di capire come abbiano inciso durante la guerra fredda gli interventi militari degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica sulle prospettive di una forma liberale di governo, e hanno scoperto che “gli interventi delle superpotenze sono seguiti da un declino significativo della democrazia, e che gli effetti pratici sono ingenti”.

[31] George Bush il primo maggio 2003 dalla portaerei Lincoln, che nel suo discorso afferma: “il nostro obiettivo è la creazione di un medio Oriente come area di libero scambio con gli Stati Uniti entro un decennio”. La strategia viene anche scritta nero su bianco in un documento del G8, per la precisione durante il G8 del giugno del 2004 a Sed Island in Georgia, intitolato G8-Great Middle East Partnership dove, sotto il titolo “opportunità economiche”, vi si legge una strategia per il Medioriente che punta ad una trasformazione economica dell’area simile, in grandezza, a quella intrapresa dai paesi ex comunisti dell’area centrale ed orientale dell’Europa.

[32] La citazione di Juan Bautista Alberdi proviene da Fragmento preliminar al estudio del derecho , Hachette, Buenos Aires 1955, p. 73. In Luigi Zoja, La morte del prossimo, Einaudi, 2010.

[33] Ibidem.

[34] Vitalij Tret’jakov, Mosca e Washington incompatibili sul pianeta terra, in Limes n. 2/2017, Chi comanda il mondo.

[35] Ibidem.

[36] Fabio Mini, Che guerra sarà, Il Mulino, 2017.

[37] Dario Fabbri, Fomenta e domina, il progetto degli Usa in Ucraina, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014

[38] Zolo, Danilo. La giustizia dei vincitori: Da Norimberga a Baghdad, Editori Laterza, 20114. Edizione digitale.

[39]  Basti qui citare tre casi. Per quanto concerne la guerra in Kuwait, il 10 ottobre 1990 un’infermiera di un ospedale di Kuwait City venne portata davanti al Congresso degli Stati Uniti. L’“infermiera Nayirah” raccontò, fra le lacrime, come alcuni soldati iracheni, entrati nella struttura presso cui lavorava, avessero tolto dalle incubatrici decine di neonati scaraventandoli a terra e lasciandoli morire sul pavimento. Sull’onda emotiva di quel racconto, il Congresso approvò l’intervento militare in Iraq. Terminato il conflitto, però, la storia di quelle atrocità non trovò alcuna conferma da parte dei medici che avevano lavorato presso l’ospedale in cui i fatti si sarebbero svolti.  Nayirah, in realtà, non era un’infermiera, ma la figlia quindicenne dell’ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti - Saud Nasir al-Sabah, membro della casa reale del Kuwait. La falsa testimonianza fu organizzata dall’agenzia di pubbliche relazioni Hill and Knowlton: «...che ricevette un compenso di 10 milioni di dollari per aver presentato così il caso Kuwait».  In Jonathan Glover, Humanity. Una storia morale del ventesimo secolo, il Saggiatore, Milano, 2002, pg. 222. Per quanto concerne il falso massacro di Račak del 1999, che ha fornito il pretesto per la guerra in Kosovo: “I quarantacinque corpi di civili trovati morti in un fosso non erano il risultato di un eccidio serbo perpetrato in una notte di tregenda, ma l’esito della raccolta di corpi di ribelli ammazzati nel corso di un mese di combattimenti in un’area molto vasta. Le bande Uck, con la consulenza di agenti segreti stranieri, realizzarono la messinscena raccogliendo i corpi sparsi, cambiando loro i vestiti e togliendo le armi. L’ambasciatore William Walker, l’americano che dirigeva la missione di verifica dell’Ocse, con l’aiuto di una novantina di mercenari, ex agenti federali o della Cia, avallò la tesi dell’eccidio con la complicità di una patologa finlandese, che non pubblicò mai l’esito degli esami condotti dal suo team. Anni dopo, saranno gli stessi membri del team a fornire i risultati, senza rinunciare però all’ipocrisia: li pubblicheranno come studio su un’ignota rivista di patologia canadese, facendo attenzione a non mettere troppo in risalto il fatto che la tesi dell’eccidio si era rivelata insussistente. Sarà troppo tardi. Il pretesto aveva già fatto precipitare la situazione e ai colloqui di Rambouillet, che dovevano trovare una soluzione pacifica alla crisi kosovara, gli Stati Uniti aggiunsero alla menzogna l’ipocrisia presentandosi con delle proposte semplicemente inaccettabili da parte di qualsiasi paese”. In Fabio Mini, Perché siamo così ipocriti sulla guerra. Un generale della NATO racconta, Chiarelettere editore, edizione digitale, maggio 2012. (Il Generale Mini ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall'ottobre 2002 all'ottobre 2003 è stato comandante delle operazioni di pace a guida NATO, nello scenario di Guerra in Kosovo nell'ambito della missione KFOR (Kosovo Force). O ancora il caso delle armi di distruzioni di massa, per dichiarare guerra all’Iraq, in cui noi siamo stati protagonisti avendo confezionato, e consegnato alla Cia, il falso dossier circa l’importazione di uranio dal Niger da parte di Saddam Hussein. È lo scandalo Nigergate: “Fabbricate a Roma in maniera goffa e artigianale le prove su Saddam. Storia del falso dossier uranio che il Sismi spedì alla Cia”. Carlo Bonini e Giuseppe d’Avanzo, in Repubblica, 24 ottobre 2005.

[40] Fedele Ruggeri e Vincenzo Ruggieri, a cura di, Potere e violenza. Guerra, terrorismo e diritti. Franco Angeli edizioni, 2009, edizione digitale: Le nuove guerre mirano alla la de-modernizzazione dell'avversario, conseguita attraverso la distruzione delle infrastrutture, l'attacco alla salute del nemico… il problema non è mirare al nemico né, sbagliando deliberatamente mira, produrre danno collaterale, ma colpire con precisione la salute pubblica attraverso la distruzione sistematica della rete elettrica, che blocca gli impianti per la purificazione dell'acqua e per il trattamento dei rifiuti fognari, a causare gastroenteriti, tifo e colera… è un dominio che si esprime come forma di biopotere, mirato al controllo dei corpi, di intere popolazioni e della loro capacità di riprodursi… Gli acquedotti, le fogne, l'agricoltura, la distribuzione degli alimenti e dei combustibili sono gli obiettivi privilegiati, in quanto la loro distruzione permette di dilazionare la morte. Vi bombardo oggi, morirete domani. L'intero paese viene piegato «dalle malattie e dalla fame, e gli innocenti non vengono risparmiati: questa strategia uccide deliberatamente i più giovani, i più vecchi e i più deboli”.

[41] In Iraq i soldi della coalizione per la ricostruzione del paese, circa 23 miliardi, sono, nella quasi totalità, spariti. Gli osservatori ufficiali dell’ONU non sono riusciti a scoprire che fine abbiano fatto i soldi. Robert Isakson, direttore esecutivo per la ricostruzione in Iraq afferma che a dirigere la ricostruzione non solo venivano messe persone assolutamente inesperte ma politicamente fedeli ai vari governi ma, gli appalti, andavano a uomini che: “erano ufficiali militari, membri della Cia ed erano appoggiati e raccomandati dall’alto. Vi erano persone che facevano parte della coalizione nonostante precedenti condanne per frode. Gli appalti venivano affidati a persone senza fondi, senza capacità e senza personale”. In Dove sono finiti i soldi? Documentario di RaiTre, dal 25 ottobre 2006. Fedele Ruggeri e Vincenzo Ruggieri, 2009: “In termini quantitativi, le irregolarità finanziarie riscontrate in Iraq vengono ritenute pari a quelle che si riscontrano in media negli Stati Uniti in un intero ventennio”.

[42]  Ibidem: “De-modernizzare per poi ri-modernizzare, attraverso interventi che ripareranno quanto si è distrutto, con contratti e investimenti che ricostruiranno quelle infrastrutture deliberatamente abbattute. Si crea in questa maniera una logica continuità tra spazio della guerra e spazio della pace, tra attori bellici e gruppi di civili, mentre i paesi nemici, azzerati, offriranno il massimo potenziale predatorio ai grandi gruppi industriali. La situazione criminogena prodotta non incoraggia esclusivamente le illegalità convenzionali, ma anche e in maggior misura quelle di stato, di impresa, e in genere la criminalità che definiamo ti tipo economico. Il coinvolgimento diretto di compagnie private, agenzie per la sicurezza, e aziende che forniscono servizi militari e consulenza paramilitare, suggerisce la creazione di un apparato dai contorni vaghi nel quale militarismo missionario, imprenditoria predatoria e corruzione dei mercati convivono in una miscela davvero inedita”.

[43] Facciamo degli esempi. Con l’Accordo di Dayton, firmato il 21 novembre 1995, è entrata in vigore la Costituzione della Bosnia-Erzegovina. Costituzione bosniaca scritta all’estero da non bosniaci. Carta che, nei fatti, ha reso la Bosnia-Erzegovina un moderno protettorato. Con la nuova carta fondamentale, infatti, viene, imposta alla Bosnia-Erzegovina un’amministrazione neocoloniale tutelata dallo sguardo vigile dell’Alleanza atlantica. La banca centrale di Bosnia è stata affidata a stranieri scelti attraverso una selezione coordinata tra Stati Uniti, UE e FMI. Ma anche nel Kosovo è successa la stessa cosa, anche qui è stato instaurato un protettorato della NATO. Terminata la guerra, infatti, è stata creata una Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo (United Nations Interim Administration in Kosovo, UNMIK), che ha governato gli affari interni del Kosovo dal 1999 al 2008.  Da quel punto in avanti la direzione in campo economico e fiscale della politica kosovara è stata decisa da Stati Uniti e UE.  L’UNMIK ha sostituito il dinaro jugoslavo col marco tedesco come valuta ufficiale il 9 settembre 1999, ed ha incoraggiato la gente del Kosovo a utilizzare nei propri affari diverse valute straniere, andando in questa maniera a indebolire ulteriormente la Jugoslavia. Di fatto l’UNMIK risponde del proprio operato alla UE e gran parte dei suoi compiti amministrativi sono poi passati, nel dicembre 2008, alla Missione dell’Unione Europea per lo stato di diritto in Kosovo (European Union Rule of Law Mission in Kosovo, EULEX), insomma garanti della legge e dell’ordine in Kosovo sono truppe Nato ed agenti di polizia della UE. Oltre a ciò, sono state installate in quei territori occupati numerosissime basi militari. Basti pensare che in Kosovo, in una zona grande come l’Abruzzo, sono state dislocate 117 installazioni militari.   La più grande è Camp Bondsteel, a pochi chilometri da Uroševac-Ferizaj.  Camp Bondsteel è divenuta, nel tempo, una delle basi militari e uno dei luoghi di transito più importanti del Pentagono per le sue operazioni in Medio Oriente e Asia centrale.  “Quando gli americani scelsero l’area dove costruirla non chiesero il permesso a nessuno. Kellogg Brown & Root (Kbr), la potente sussidiaria della petrolifera Halliburton che si occupa anche di logistica militare, e il 94° Battaglione genio costruzioni dell’esercito americano, si presero due colline e le sbancarono”, in Fabio Mini, Soldati, Einaudi, 2008. Cfr. M. Darius Nazemroaya. La Globalizzazione della Nato. Arianna Editrice, 2014.

[44] Fedele Ruggeri e Vincenzo Ruggieri, 2009.

[45]Ibidem: “massima espressa, in occasione della guerra per il Kosovo, dal giurista statunitense Michael Glennon”.

[46] Nel discorso ufficiale all’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 20 settembre 1999, Annan ha giustificato con lo «stato di necessità» l’intervento militare della NATO in Kosovo in assenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza.

[47] Le fuel-air explosives sono ordigni costituiti da un contenitore di liquido altamente infiammabile. Sganciato l'ordigno, a pochi metri da terra il liquido forma un aerosol e, quindi, viene incendiato contemporaneamente da più cariche a basso potenziale. La detonazione oltre alla forte onda d'urto sviluppa un'altissima temperatura consumando istantaneamente tutto l'ossigeno nell'area interessata, unendo così all'onda d'urto e all'effetto termico dell'esplosione, l'impossibilità di sopravvivenza per mancanza d'ossigeno. Il calore generato dalla detonazione è tale da uccidere le persone presenti nell'area colpita, e l'onda d'urto associata distrugge gli edifici nella zona, ma (diversamente da ciò che si verifica con l'esplosione di un ordigno nucleare) senza che vi sia nessuna contaminazione radioattiva a lungo termine della zona colpita e di quelle limitrofe. Per avere una idea del potenziale distruttivo di queste bombe si pensi che nel caso del tremendo incidente di Viareggio, avvenuto il 29 giugno 2009, si è creato un effetto chimico-fisico simile a quello creato dalle bombe di cui sopra.

[48] Le daisy-cutter, c.d. bombe taglia margherite, sono bombe di quasi quasi 7 tonnellate. Contengono oltre 5 tonnellate e mezza di potente esplosivo gelatinoso a polvere di alluminio. Sganciata da un aereo C-130, scende verso terra frenata da un paracadute e, giunta in prossimità del suolo, esplode. L'esplosione è simile a quella di una bomba atomica, salvo l'effetto delle radiazioni: Lo spostamento d'aria, con venti di centinaia di km orari, scaglia i detriti verso l'esterno, trasformandoli in proiettili mortali. Mentre si leva in cielo una enorme nuvola a forma di fungo, il boato si ripercuote a decine di chilometri di distanza. Per avere un'idea del suo raggio distruttivo, basti pensare che l'aereo, pur allontanandosi mentre la bomba scende frenata dal paracadute, non la può sganciare da un'altitudine inferiore ai 2mila metri, perché altrimenti sarebbe distrutto dalla potenza dell'esplosione. Undici bombe di questo tipo furono usate nella guerra del Golfo, nel 1991, facendo strage di soldati e civili iracheni.

[49] Zolo, Danilo, 2014.

[50] Come nel caso degli ardigli al fosforo bianco, usati a Falluja, come ci racconta il generale Mini nel suo libro Soldati: “Tra le vittime, combattenti e non combattenti, si sono trovati molti cadaveri letteralmente abbrustoliti. Il capitano di artiglieria Cobb è un professionista che descrive con dovizia di particolari come sia riuscito a gestire il fuoco in sostegno alla sua Tf, che attaccava nel settore meno profondo…Una concentrazione di fuoco maggiore di quella che ha raso al suolo Dresda e Tokyo durante la Seconda guerra mondiale. In questa situazione il capitano Cobb è particolarmente soddisfatto dell’impiego del munizionamento al fosforo bianco, che è legalmente convenzionale anche se «speciale». Il tecnoburocrate si è infatti scoperto fantasista. Non ha impiegato il fosforo per le sue funzioni previste (nebbiogene e per la segnalazione di obiettivi), ma per missioni letali. Ha alternato munizioni al fosforo con quelle ad alto esplosivo per combinare due effetti, quello psicologico e chimico del primo per snidare il nemico, e quello del secondo per eliminarlo definitivamente: in gergo, shake and bake. Un termine noto alle massaie americane quando mescolano e agitano il pangrattato con le cosce di pollo prima di metterle al forno. La missione shake and bake, che non è codificata da alcun manuale, così come è stata descritta dal capitano e da altre fonti militari, comporta l’uso deliberato del fosforo sull’avversario (combattente e non combattente) per indurlo allo scoperto o per «cuocerlo al forno». Il fosforo non è un fumogeno, non emette un prodotto di combustione, ma crea un aerosol denso perché le particelle di fosforo sono altamente igroscopiche e assorbono in un attimo tutta l’umidità presente nell’aria. Nelle case e nei seminterrati è più umido e fresco, e il fosforo si alimenta piú velocemente. La nebbia rilascia acido fosforico, che è tossico, ma, soprattutto, il processo sviluppa calore fino a «cuocere» le persone”. O le cluster bombs, bombe a frammentazione. In Iraq ne sono state usate circa 1400 “in violazione del trattato internazionale che proibisce l’uso di mine anti-uomo e che era stato sottoscritto da tutti i paesi impegnati nell’azione militare della NATO, con la sola eccezione degli Stati Uniti”. .Le cluster bombs sono armi di grande dimensione contenenti al loro interno dozzine o centinaia di ordigni che costituiscono un rischio per i civili a causa della loro larga dispersione e dell’elevato numero di ordigni che non esplodono al momento dell’impatto, così continuando a seminare morti e feriti anche dopo il conflitto. O ancora le bombe ad uranio impoverito (depleted uranium). Oltre trentamila ne sono state usate sul territorio jugoslavo, in particolare nel Kosovo, come confermato dal Segretario della NATO, George Robertson. Dopo l’esplosione della testata, a contatto con corpi solidi, l’uranio si diffonde in forma di finissima polvere radioattiva. La polvere contamina il suolo, l’acqua e l’aria e si inserisce nella catena alimentare producendo un aumento della radioattività ambientale la quale può generare tumori maligni, leucemie, malformazioni dei feti, malattie infantili, come ben sanno molti dei nostri militari italiani morti di tumore per aver respirato le polveri di quelle bombe”. In Zolo, 2014.

[51] Danilo Zolo, Terrorismo umanitario. Dalla guerra del Golfo alla strage di Gaza, Diabasis editore, 2009: “ le : “… fuel-air explosives “usate  nella nottata conclusiva dell’offensiva terrestre, quando la disfatta dell’esercito iracheno era ormai acquisita. Tristemente famosa è la strage di migliaia di civili arabi, in gran parte palestinesi, sudanesi ed egiziani, in fuga con mezzi di fortuna sull’“autostrada della morte” che collega la capitale del Kuwait alla città irachena di Bassora. Jeffrey Smith, corrispondente del Washington Post , ha scritto che l’intero fronte iracheno è stato sottoposto a bombardamenti intensivi anche con bombe BLU-82, contenenti fuel-air explosives (si veda: Washington Post , 23 febbraio 1991). Secondo la rivista Soldier of Fortune (luglio 1992) almeno undici bombe BLU-82 sono state sganciate fra il 7 febbraio e l’inizio del grande assalto terrestre. Cfr. inoltre A. Whitley, “Kuwait: the last forty-eight hours”, New York Review of Books , 30 maggio 1991, pp. 17-8.

[52] La decisione di sganciare la “bomba” - e di sganciarla sul Giappone, non sulla Germania o sull’Italia - venne presa già il 05 maggio del 1943 dalla Military Politicy Committee. Il 1 luglio 1946 il Pacific War Strategic Bombey Survey concluse, poi, che la guerra sarebbe sicuramente terminata entro il 1945, e con tutta probabilità entro ottobre, anche senza l’atomica, senza minaccia di invasione e, addirittura, senza l’entrata in guerra contro il paese del Sol Levante dell’Unione Sovietica.

[53] Zolo, 2009: Ibidem: “La guerra per il Kosovo ha definitivamente consacrato la prassi dell’interventismo umanitario, assumendo nel modo più esplicito la motivazione umanitaria come justa causa di una guerra di aggressione”. Un inganno. Le guerre si combattono per interesse, per nessun altro motivo: “L’unica volta che le truppe degli Stati Uniti hanno combattuto unicamente per fini umanitari è stato a Mogadiscio, in Somalia, nel 1993. Dopo la morte in battaglia di diciotto americani, il presidente Clinton ha ritirato in fretta e furia tutte le forze di combattimento USA. Lui e i suoi più stretti collaboratori erano talmente spaventati da ciò che era accaduto in Somalia che l’anno dopo si sono rifiutati di inviare truppe in Ruanda per mettere fine al genocidio, anche se la missione avrebbe fatto poche vittime tra i soldati americani”. In Mearsheimer, 2019.

[54] Luigi Zoja, Paranoia, Bollati Boringhieri, 2011: “...un programma così grave che la sua patologia lascerà a lungo il segno nella politica estera americana e quindi anche nelle relazioni internazionali... Nel documento, infatti: «...si sottolinea che i veri pericoli per l’America non stanno più in potenze rivali, ma negli “Stati-canaglia” (rogue States) e nei gruppi terroristici. Il documento suppone (senza fornire prove) che il loro scopo principale sia procurarsi tecnologie pericolose (non vi si parla di attacchi all’America ma di una loro preparazione invisibile, immaginata già in corso). Gli Stati Uniti devono agire prima che la fase preparatoria si completi. Non ci si propone, dunque, di sconfiggere il nemico, ma i suoi piani (to defeat our enemies’ plans), anche se questi piani non sono conosciuti né conoscibili. Bisogna cioè prevenirlo (prevent the spread of weapons of mass destruction)... Gli stessi termini “terrorismo” e “rogue States” sembrano tautologie vaghissime, ma rispondono alla funzione di alludere sempre a complotti e attività misteriose che non si possono altrimenti precisare. Notiamo di sfuggita che persino l’attacco nazista agli ebrei era, in questo senso, più oggettivo. Le sue premesse erano deliranti, ma in qualche modo esso definiva il nemico”.

Questo folle documento, che non indica più un nemico, e autorizza una guerra sul semplice sospetto, permette a Bush, nel 2003, di dichiarare guerra all’Iraq perché, si sostiene, si voglia dotare di armi di distruzione di massa. Un semplice sospetto, poi dimostratosi infondato: gli ispettori dell’ONU non trovarono traccia delle famigerate armi di distruzione di massa. 

“A fronte di questo clamoroso errore, che ha causato oltre un milione e mezzo di morti, gli Stati Uniti, anziché fare autocritica, sorprendentemente confermano, nella seconda edizione del documento sulla Strategia per la Sicurezza Nazionale gli Stati Uniti d’America (marzo 2006), lo stile persecutorio e patologico: “«First, our intelligence must improve (Primo, il nostro spionaggio deve migliorare); Second, there will always be some uncertainty about the status of hidden programs (Secondo, vi sarà sempre un certo grado di incertezza sulla condizione di programmi nascosti) ». E come potrebbe esserci certezza, se sono nascosti? Il documento non sembra scritto dal governo della più antica democrazia occidentale, ma da monsieur de Lapalisse. Il paese che più influisce sugli equilibri del mondo ha così creato un impressionante precedente, imponendo, in modo unilaterale e con uno stile affine alla più grave forma di psicopatologia, la modifica delle norme internazionali che hanno retto il mondo dalla pace di Westfalia in poi. Il diritto di attaccare un altro paese in assenza di una minaccia visibile e provata è il diritto di attaccare qualunque paese in qualunque momento, sulla base della rivalità, del contrasto di interessi, del sospetto, di motivazioni soggettive e persecutorie”.

[55] Ibidem.

[56] Nafeez Mosaddeq Ahmed, Dominio. La guerra americana all’Iraq e il genocidio umanitario, Fazi editore, 2003.

[57] Ibidem

[58] MacMillan, Margaret. 1914: Come la luce si spense sul mondo di ieri. Rizzoli, 2020. Edizione digitale.

[59] Martti Koskenniemi, Il mite civilizzatore delle nazioni. Ascesa e caduta del diritto internazionale 1870-1960, Laterza, 2012.

[60] Rodogno, Davide. Contro il massacro: Gli interventi umanitari nella politica europea 1815-1914. Editori Laterza, 2012: “Dopo ogni crisi internazionale o intervento umanitario i diplomatici e i sedicenti esperti in affari turchi imposero alle autorità ottomane nuove legislazioni ispirate a modelli politico-amministrativi europei che avrebbero dovuto garantire uguaglianza e libertà a tutti i soggetti ottomani ed evitare nuovi massacri. Questo non impediva che, trovandosi ad amministrare territori ex ottomani come l’Algeria o l’Egitto, gli europei governassero in modo più intollerante, discriminatorio e dispotico dei turchi. Non è errato dire che gli europei intervennero militarmente quando i «barbari» ottomani applicarono gli stessi metodi «selvaggi» che i primi adottavano sistematicamente nelle proprie colonie africane e asiatiche. Bass ha constatato che dopo gli eccidi di britannici a Delhi e Kanpur, nell’estate del 1857, le autorità britanniche massacrarono in modo sadico centinaia d’indiani, bruciando vivi donne e bambini e cospargendo i musulmani con grasso di maiale prima di ucciderli”.

[61] Ibidem: “Quando terminò la spartizione dell’Africa, più del 75% delle acquisizioni territoriali britanniche a sud del Sahara era stato effettuato da compagnie privilegiate. La colonizzazione tedesca seguì percorsi analoghi. Nei celebri manifesti imperiali del 1884 e del 1885 Bismarck ribadì la sua ferma opposizione al «sistema francese». Il territorio che in seguito divenne l’Africa Sud-occidentale tedesca fu acquisito da un mercante di tabacco di Brema, Adolf Lüderitz.” In Koskenniemi, 2012.

[62] In India, nel solo ultimo quarto del XIX secolo sarebbero morte tra i 12,2 e i 29,3 milioni di persone: malgrado le carestie fossero ricorrenti, non si creavano adeguate scorte perché la produzione agricola doveva nutrire la Gran Bretagna. Sappiamo che le razioni alimentari dei campi nazisti erano intenzionalmente insufficienti perché, coerentemente con le premesse socialdarwiniane, dovevano contribuire all’eliminazione dei più deboli. Eppure in India l’amministrazione coloniale inglese arrivò a fornire, per lavori manuali pesanti, razioni inferiori a quelle del lager di Buchenwald nel 1944-45, il periodo in cui la Germania nazista soffrì la massima penuria.

[63] Lo Stato si limitava ad adottare disposizioni legislative all’ombra delle quali il commercio privato e lo sviluppo economico, l’istruzione e il rinnovamento tecnologico potevano essere intrapresi per mezzo di società con finalità commerciali o umanitarie. Più o meno la stessa cosa che accade oggi con il “nuovo colonialismo” che consiste nello sfruttamento “indiretto” delle ricchezze dell'Africa attraverso ricche compagnie petrolifere e minerarie, governi locali “amici” e/o “corrotti”, potentati economici, ecc.

[64] Zoja, Luigi. Paranoia. Bollati Boringhieri. Edizione digitale.

[65] Augusto Pierantoni, Storia del diritto internazionale del XIX secolo, Marghieri, 1876, pg. 6.

[66] Tra questi Louis Renault, premo Nobel per la pace nel 1907, che aveva evidenziato come gli Stati Europei avessero troppo spesso abusato del loro potere contro i «cosiddetti barbari» e avessero mosso contro di loro guerre ingiuste, violando le più elementari regole del diritto internazionale. Ma si trattava di una critica generica contenuta in un manuale non poteva tuttavia considerarsi una seria forma di resistenza alla colonizzazione. Renault era del resto pienamente favorevole alla giurisdizione consolare francese in Turchia e in Cina. In L. Renault, Introduction à l’étude du droit international [1879], in L’œuvre internationale de Louis Renault, Éditions internationales, Paris 1932, pp. 11-12, 17

[67] J. Westlake, Chapters on the Principles of International Law, Cambridge University Press, Cambridge 1894, pg. 143: “…il diritto internazionale deve trattare gli indigeni come popoli non civili. Esso regola, a reciproco beneficio degli Stati civili, le pretese sovrane che questi avanzano nella regione e lascia la questione del trattamento degli indigeni alla coscienza dello Stato cui è attribuita la sovranità”.

[68] Nitti, Francesco Saverio. L'Europa senza Pace: Nuova edizione con uno scritto di Giulio Sapelli (Sulle orme della Storia). goWare, 2014. Edizione digitale.

[69] Taylor, Alan John Percival, War by Time-Table. How the First World War Began, n. ed. Pen & Sword Books, Barnsley 2005. In Zoja, Paranoia, cit.

[70] Pareto, Vilfredo. La Prima guerra mondiale: Le cause, le conseguenze. Editrice La Scuola, 2015.

[71] Gozzi, Gustavo. Diritti e civiltà: Storia e filosofia del diritto internazionale, Il Mulino, 2011. Edizione digitale: “l’accento fu posto, come avverte Ben Achour, non tanto sui diversi gradi di civiltà, quanto piuttosto sui concetti di «nazioni sviluppate» e di «nazioni arretrate». «Questa idea non implica più il giudizio sugli elementi di ordine culturale, spirituale, religioso, artistico, che caratterizzano le nazioni, ma sugli elementi di ordine economico, tecnologico, industriale o amministrativo e militare [...] Stanno per nascere le idee di sviluppo e sottosviluppo».

[72]  Danilo Zolo, La conquista neocoloniale della Libia: “La guerra contro la Libia, decisa nel marzo 2011 dagli Stati Uniti d'America, con la collaborazione della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia, è stata ed è tuttora una delle molte guerre volute dalle potenze occidentali. E si è trattato di guerre del tutto illegali. Sarebbe del resto molto ingenuo aspettarsi che le grandi potenze rispettino le norme del diritto internazionale, in particolare le prescrizioni della Carta delle Nazioni Unite e delle Convenzioni di Ginevra. L'aggressione bellica e l'uso delle armi contro le popolazioni civili sono una pratica che ormai potremmo chiamare ironicamente "umanitaria"…Quale può essere la ragione di questa carneficina? Non è difficile individuarla. La guerra scatenata dagli Stati Uniti contro la Libia aveva un obiettivo preciso: il controllo delle preziose risorse libiche di petrolio e di gas naturale. Le riserve di petrolio della Libia sono stimate in 60 miliardi di barili e sono notoriamente le più importanti dell'Africa, mentre i costi di estrazione sono i più bassi del mondo. E le riserve di gas naturale sono stimate in circa 1.500 miliardi di metri cubi. Ma nel mirino dei "volenterosi" che hanno impugnato le armi contro la Libia c'erano anche i "fondi sovrani" libici: si trattava dei capitali gestiti dalla Libyan Investment Authority, stimati in oltre 150 miliardi di dollari, che sono stati prontamente "congelati" dalle potenze occidentali prima di decidere l'attacco militare”. In http://www.juragentium.org/topics/wlgo/it/libia.htm

     [73] J. M. Keynes, Autosufficienza nazionale (1933) in ID, La fine del laissez-faire e altri scritti,  Bollati Boringhieri, 1991, pg. 95 e 97.

[74] Nei call center e nei magazzini delle grandi multinazionali del commercio si è tornati all’alienazione così ben descritta da Georg Simmel dell’uomo con l’orologio in Le metropoli e la vita dello spirito, Armando Editore, 1995.

[75] Trump fa la gara con Kim Jong-un: “Il mio bottone nucleare più grande del tuo”. In  Il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2018: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/03/trump-fa-la-gara-con-kim-jong-un-il-mio-bottone-nucleare-piu-grande-del-tuo-poi-minaccia-di-tagliare-gli-aiuti-ai-palestinesi/4070639/

[76] Mini, Fabio, 2017.

[77] Ibidem: “I tre principali leader del mondo perseguono una politica di nazionalismo nostalgico e imperiale («America first», «China first», «Russia first»). Lo slogan elettorale di Trump è stato «Let’s make America great again», simile a quello di Putin, che vuole la Russia di nuovo grande, e a quello di Xi Jinping, che vuole la Cina di nuovo grande”

[78] Ibidem: “L’Africa è il continente più depredato e martoriato del globo. Le due grandi potenze globali che si dichiarano anti-imperialiste e anticolonialiste hanno messo da tempo occhi e artigli sul continente. Ognuna a modo proprio, Cina e America stanno preparando un confronto/scontro per lo sfruttamento ulteriore del continente. Alla penetrazione cinese in Africa gli Stati Uniti hanno contrapposto l’intervento militare costituendo il Comando unificato per l’Africa. La Cina è riluttante ad accettare la sfida militare in Africa, ma non si sottrae al gioco duro. Sta cercando di costruire una base militare vicino a Gibuti dove c’è la più grande base americana in Africa e sta trattando per inviare truppe in Sud Sudan a proteggere le proprie installazioni petrolifere”.

[79] Ibidem: “La proliferazione e la privatizzazione degli interessi hanno reso lo scontro globale ancor più sotterraneo e letale. I protagonisti non sono gli Stati, ma i detentori del potere finanziario ed economico, le organizzazioni private che hanno propri strumenti politici e militari o che controllano gli strumenti statali di vari paesi”.

[80] Africa in vendita in cambio di cibo, in La Stampa, 26 maggio 2009, Africa in vendita in cambio di cibo: http://www.lastampa.it/2009/05/26/esteri/africa-in-vendita-in-cambio-di-cibo-5H1zy6YYRkLSbjDT5BvozM/pagina.html

[81] Zoja, Luigi. Utopie minimaliste: Un mondo più desiderabile anche senza eroi. Chiarelettere, 2013. Edizione digitale: “I giovani che in Europa vengono chiamati neet (not in employment, education or training) e hikikomori in Giappone (dove per la prima volta il fenomeno ha assunto dimensioni di massa) sono considerati dalle statistiche ufficiali un nuovo «male» di tutta la società avanzata. Il giovane neet, che spesso ha compiuto o addirittura terminato brillantemente gli studi superiori, non si inserisce nella società «normale» e non cerca veramente un impiego”. Zoja, Luigi. Psiche. Bollati Boringhieri. Edizione digitale: “L’Italia ha sia una delle maggiori quantità assolute di neet (oltre due milioni), sia una delle maggiori percentuali europee (22,7 per cento, seconda solo alla Bulgaria)...Il ritiro di masse di giovani dalle passioni, dall’impegno politico, dalla sessualità, dalla esistenza sociale e dalla vita stessa, sembra rappresentare lo stadio massimo della disanimazione del mondo. Vengono riassorbite fin dove è possibile le proiezioni e i coinvolgimenti emotivi da ciò che circonda il soggetto. Si tratta di un capitolo fondamentale della psicoanalisi che ancora non è stato scritto”.

[82] MacMillan, Margaret, 2020.

[83] I dati statistici sull’indice di natalità delle maggiori nazioni del continente mostravano che da qualche decennio, dopo un secolo di straordinaria crescita demografica, c’era una diminuzione delle nascite, in larga parte dovuta a una scelta volontaria. Nello stesso periodo, le popolazioni di altri continenti, in Asia e nelle Americhe, continuavano ad aumentare mantenendo alto l’indice di natalità. Nelle colonie dell’Europa imperiale, poche migliaia di bianchi, funzionari e soldati, dominavano su milioni di indigeni di altre razze, in continuo aumento. La morte di tutte le civiltà, affermava Gobineau, era dovuta a una causa generale e comune, che non era necessariamente il fanatismo, il lusso, la corruzione dei costumi, l’irreligione, la politica di cattivi governanti, come sostenevano altri profeti della decadenza, ma era la degenerazione della razza attraverso la mescolanza con altre razze. E poiché la mescolanza etnica era inevitabile in ogni popolo che si sviluppava attraverso l’espansione, inevitabile era la sua morte. Questo era il destino della civiltà europea, generata dalla razza ariana, che aveva esteso il suo dominio in tutto il mondo, e proprio per questo aveva continuato a perdere la sua integrità. «Non si può allontanare il male, esso è inevitabile.»  In Joseph-Arthur de Gobineau, Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane. Rizzoli, 1998, pg. 60

[84] Jacques Attali, E. Bitossi, Domani, chi governerà il mondo? Fazi Editore, 2012. Edizione digitale.

[85] Grossi, Paolo. L'Europa del diritto. Editori Laterza, 2016. Edizione digitale.